venerdì 20 giugno 2014

Tecnica della comunicazione e conduzione di gruppo di bambini (5 – 10 anni) 1/3

Prima parte

Quelli che aspirano a diventare animatori, ma anche diversi animatori in servizio, hanno un’idea vaga del proprio ruolo. 
Qualcuno di loro si vede in un ambiente chiuso mentre segue bambini che giocano diligentemente, si considera come “Deus ex machina”
di ogni attività che tutto predispone ed organizza e che è pronto a dispensare consigli e direttive ai bambini: spiega loro le regole dei giochi e li guida ergendosi ad arbitro, detta gli orari e predispone gli spazi, ecc. Molti sono pronti, inoltre, ad osservare i comportamenti dei bambini ed a preparare relazioni interessantissime su tutti. Si considerano insomma, una sorta di maestri-impiegati e non comprendono alcuni aspetti fondamentali della nostra attività.
L’ animatore non ha soltanto il compito di “condurre” per mano i bambini e di ergersi come un faro in mezzo al campo di gioco. Gli animatori devono essere in grado di mettersi alla pari dei bambini durante il gioco in comune. Come possiamo pretendere di favorire il gioco infantile se noi stessi, in prima persona, non siamo in grado di immergerci completamente nella situazione ludica?
Quando parliamo di valorizzare il gioco non ci riferiamo soltanto alle mostre, ai dibattiti, agli incontri fra adulti (insegnanti, genitori, studenti, ecc.). Se noi stessi abbiamo la tendenza, anche inconscia, a distinguere aspetti “nobili” e “plebei” del gioco, se non sappiamo comunicare con i nostri atteggiamenti più spontanei che giocare è un’ esperienza fondamentale per l’uomo, come possiamo pensare di convincere eventuali nostri interlocutori (che spesso hanno ben altre idee sui bisogni essenziali dell’infanzia...) della fondamentale importanza del gioco? 

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